Nella società attuale, in cui ormai si è raggiunto il compimento del nichilismo integrale, si accresce momento dopo momento un diffuso malessere, sempre più profondo, questo è il risultato inevitabile di un processo involutivo determinato dal distacco dell’anima dalla sua origine, dal suo fondamento ontologico e dal suo essere, e perciò anche dalla possibilità di attuare se stessa e dunque la sua felicità. È significativo che fra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento sia comparsa in Europa una generalizzata tristezza e, allo stesso tempo, una preoccupazione per quel diffuso “male di vivere” che colpiva strati sempre più ampi della società e accresceva in essa un’angoscia esistenziale che ormai spingeva al suicidio diverse persone. Proprio ai primi dell’Ottocento, come abbiamo visto, ha inizio l’ultimo tratto della catabasi dell’umanità, perciò questa situazione, nel corso dei due secoli successivi, è via via peggiorata, fino ad interessare l’intera umanità. In particolare il diffuso male di vivere colpisce i giovani, i quali, dai primi anni ‘70 del XX secolo, secondo diverse indagini, per oltre il 50%, non individuano più alcun senso nella loro vita, mentre oltre un terzo di essi concepisce il suicidio come una buona  soluzione per affrontare il tema della vita.



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