L’integrazione in una data tradizione religiosa deve essere reale, non astratta, per cui deve esserci una precisa costituzione dello Spirito Divino, che rappresenta l’Autore stesso della forma immanente della tradizione, nell’animo dell’uomo e in tutti gli atti della sua persona, per cui bisogna essere “consacrati” e “legittimati” per operare in una tradizione spirituale, testimoniarla e darle continuità. È abbastanza facile comprendere che un’integrazione in una tradizione, o in una religione, per via immaginaria, sentimentale o ideale, non ha alcun fondamento. Il problema della reale integrazione operativa, giuridico-rituale, nella “tradizione romana”, purtroppo non viene mai correttamente posto nello pseudotradizionalismo, ci si illude di essere “romani” o partecipi della “tradizione romana” richiamandosi “idealmente” a certi principi eterni e immutabili, scavalcando tutte le procedure del loro costituirsi nello sviluppo storico della tradizione, il tutto nel più chiaro stile evoliano. Queste modalità temerarie finiscono per supplire alla mancanza di un regolare collegamento alla tradizione positiva e temporale e fanno sì che coloro che le adottano si stimino lo stesso “regolari” e “legittimi” nelle proprie azioni “romane”. Questo modo di procedere è invece assai poco romano, per i Padri la “tradizione” equivale ad una rigorosa disciplina di trasmissione sacrale ed esistenziale regolare, fondata su sapienza



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